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Canti delle Arpie

Ultimo Aggiornamento: 01/11/2016 22:53
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01/11/2016 22:23

Rex tremendae majestatis.
Nella città del Palio, l'unico gonfalone che conta non garrisce al vento. Al di sotto ed alle spalle della città delle vacche, il passo grave di un Dio ridestato calpesta con la stessa indifferenza le speranze di mortali ed immortali.

Anastasios Parasklevas, Primogenito Toreador, Duca di Siena, vassallo di Firenze, si inginocchia e bacia l'anello di Dio, l'uomo che è giunto in città per rivendicare il suo antico dominio. L'uomo dalla carne e dal cuore d'acciaio il cui nome è, proclama l'Arpia che ha portato con sé, Vittorio Ascanio Genovese; Principe di Siena, Anziano del Sangue Ventrue, Progenitore di Principi.

Con un sorriso capace di fermare il cuore, egli proclama il suo felice avvento ed il ritorno della giustizia e della clemenza di un vero Re sulla terra di Toscana. Magnanimamente lascia Parasklevas spogliarsi del peso del suo rango e tornare a Firenze, a convocare 'il suo figliol prodigo.'

Voca me cum benedictis.
L'aria è densa del fumo acre della carne combusta. I corpi riversi degli ultimi difensori del baronato di Arezzo sono preda e bottino dei vincitori: uomini, semplici mortali, armati della conoscenza di ogni debolezza della stirpe cainita, e membri del clan disprezzato di delinquenti e spergiuri, al seguito dell'impassibile Lorenzo de'Medici, Arconte del Sangue Ventrue. Occhi vivi ed occhi morti si appuntano su di lui, quando proclama con voce sicura l'estinzione della macchia anarchica in terra toscana ed irride l'ignominiosa fuga del barone Kotlar, per nulla impedita dai suoi scherani. Il nuovo regime viene battezzato nel sangue del Barone Masdela, sgozzato pubblicamente dal nuovo signore di Arezzo: Sua Eccellenza Jacopo, Cavaliere della Nobile Impresa, vassallo di Firenze, dinanzi agli occhi compiaciuti di Lorenzo.

Pochi giorni dopo, la chiamata di Vittorio Ascanio Genovese giunge al proprio figliol prodigo.

Confutatis, maledictis.
E' in ginocchio dinanzi a colui che chiama Avo e Maestro, Lorenzo de'Medici. E' in ginocchio davanti a colui che impugnando una pergamena di pelle umana, vergata nel sangue, sigillata col sangue, ha proclamato la sua decadenza dal rango di Arconte, per decreto del Conciliatore Ventrue che lo aveva nominato. Con l'ira gelida e teatrale di un padre deluso, Vittorio Ascanio Genovese, di fronte all'intera sua corte riunita, di fronte a tutte le Arpie di ogni territorio che è riuscito a far convocare, condanna a morte il responsabile dell'abominevole distruzione, per mano di un membro di un Basso Clan, della progenie del Sangue di Elonso. Invocando il proprio diritto di distruzione, il Principe di Siena lascia a Lorenzo il tempo necessario ad aprirsi le vene, nutrendosi del suo sangue e proclamando la restaurazione di pace e concordia. Le ceneri di Lorenzo vengono racchiuse in un'elaborata urna ed inviate a Firenze.

Lacrymosa.
L'aria è ferma e satura dell'aroma di centinaia e centinaia di rose cremisi, dell'olezzo di incensi e candele profumate nel salone da ballo, dove decine di cainiti ascoltano con costernato stupore le notizie che giungono dalle tormentate terre toscane. Lacrime di sangue sgorgano dagli occhi addolorati del padre il cui figlio è stato barbaramente ucciso. Dolore e rabbia emergono dalla sua anima, risuonando in un lamento di tale squisita agonia che il fracasso di vassoi e calici che si infrangono esplode nella sala immota e silente, quando i ghoul servitori si accasciano: i loro cuori esplosi nel petto per l'intensità dell'emozione. Elonso, Principe di Torino, Rosa Antica, piange il figlio morto e giura vendetta. Un'ampolla gli viene portata dal Guardiano dell'Elysium, gemente e piangente a sua volta, e la riempie con le sue lacrime scarlatte. Col proprio sangue, vergherà il proprio dolore e la propria richiesta d'aiuto ad ogni fiore del proprio vasto roseto. E solo dopo aver indossato i funerei panni del signore distrutto dal dolore, invia araldi e convoca Primogeniti, che diffondano l'eco del suo dispiacere e la sua richiesta di supporto ai membri d'ogni stirpe offesa ed insanguinata dalle gesta immonde dei reggenti di Toscana.
[Modificato da - Il Narratore - 01/11/2016 22:53]
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